Luigi Vanvitelli era nato il 12 maggio del 1700 a Napoli da Gaspare Van Wittel di Uthecht, venuto diciannovenne in Italia nel 1666, e da Anna Laurenzini, romana.

Battezzato nella chiesa di S. Marco di Palazzo (lo tenne al sacro fonte il capitano don Giovanni Ordonez in rappresentanza del duca di Medina Celi, vice re di Napoli) il piccolo Luigi a poco più di un anno venne condotto a Roma dai genitori spaventati dell’effimera ma violenta insurrezione contro gli spagnoli capitanata dal principe di Macchia.

Gaspare, eccellente paesaggista, uscito da quella scuola di architetti olandesi, compiuti e coscienziosi disegnatori, dotati anche di raffinata sensibilità coloristica, che consumarono la loro vita nel tracciare il ritratto fedele del loro paese, incoraggiato dalla precocità dell’allora fanciullo che a sei anni già disegnava dal vero, voleva fare di lui un pittore.

Fu così che Luigi Vanvitelli si avviò all’arte sotto la guida del padre, e contemporaneamente studiò lettere, filosofia, geometria, fisica, dimostrando una speciale tendenza, che andò man mano sviluppando negli anni per l’architettura.

LUIGI-VANVITELLISi dice che in quest’ultima sia stato suo maestro Filippo Juvara, con cui ebbe contatti anche quando ormai era un architetto affermato. Nei loro incontri si discuteva di architettura, nelle opere che Juvara realizzò a Torino oltre al palazzo reale di Lisbona commissionatogli dal Re del Portogallo.

I due biografi del Vanvitelli ricordano come suo maestro solo lo Juvara, mentre il nipote Luigi aggiunge che egli studiò profondamente le opere di Vitruvio, del Palladio, di Bramante, dell’Alberti, del Serlio, del Sammicheli, dello Scamozzi, avvezzandosi di buon ora nelle regole e negli esemplari di questi sommi artisti;
inoltre misurò, disegnò e considerò a lungo i monumenti antichi come il Colosseo, il Pantheon, le terme, il teatro di Marcello venendo in cognizione e desiderio della grandezza latina.

Dopo gli insegnamenti dell’abate messinese (Juvara), che spesso gli ripeteva l’avvertimento a lui inculcato dal suo maestro Carlo Fontana, di usare sempre la maggiore semplicità, Luigi continuava dunque da sé passando dallo studio dei trattatisti a quello diretto dei monumenti e acquistando cognizioni di prima mano, non solo sulle forme ma anche sulle strutture che fecero di lui un tecnico straordinario.

Tuttavia egli non potette non sentire l’alto valore delle nuove espressioni dell’architettura barocca e poiché in quel tempo circolavano l’Architettura civile, opera postuma di Guarino Guarini, ed i grossi volumi della Prospettiva dè Pittori, ed Architetti di Andrea Pozzo, e l’arte di Francesco Borromini era più viva che ma, tanto che Munoz definì il Settecento in Italia e fuori si può quasi definire scuola borrominiana, non ci sorprende se nelle opere vanvitelliane troviamo spesso, vicino ad influenze di Pietro da Cortona e di Gian Lorenzo Bernini, anche quelle del grande sventurato architetto di Bissone.

A ventisei anni Luigi Vanvitelli era coadiutore dell’architetto romano Antonio Valeri che presentò un progetto per la nuova sagrestia di S. Pietro.

Venne impiegato anche come pittore insieme a Sebastiano Conca per copiare i quadri che dovevano riprodursi in mosaico.

Nel 1736 venne promosso ad architetto soprastante, in qualità di revisore delle misure.

Il suo primo lavoro fu il progetto delle chiesa delle Monache della Maddalena a Pesaro.

Ma pare che la rivelazione del suo grande talento avvenne quando concorse alla facciata della basilica di S. Giovanni in Laterano.

Non ancora trentenne godeva della massima stima del Pontefice Benedetto IV, il quale lo incaricò di molteplici lavori tra cui la conduttura dell’acqua del Vermicino, l’ampliamento del porto di Ancona, dove eresse la chiesa del Gesù, l’arco del Clementino, la cappella delle reliquie di S. Ciriaco.

I molteplici incarichi ottenuti dal Pontefice e nel resto d’Italia, suscitarono l’invidia dei suoi colleghi; invidia che raggiunse il culmine quando ebbe l’incarico per il consolidamento della cupola di S. Pietro le cui antiche lesioni si erano aggravate. 

Realizzò tra l’altro una cappella per il Re di Portogallo e l’ampliamento della chiesa di S. Maria degli Angeli.

Nel 1750 venne incaricato da Carlo di Borbone alla progettazione e realizzazione della Reggia di Caserta e l’annesso Acquedotto Carolino.